tributi_comunali
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a cura della Dott.sa Martina Taurone dello Studio Legale Pasquazi & Partners – Roma-Cave-Tivoli

Un caso che spesso i nostri clienti ci sottopongono è quello della legittimità di richieste di pagamento da parte dei Comuni o delle società concessionarie del servizio riscossione dei tributi locali a distanza di anni rispetto la naturale scadenza.

Anzitutto è bene specificare che i tributi locali sono fondi di finanziamento per i servizi
che vengono erogati dagli enti locali. Essi comprendono: la Tosap e la Cosap, cioè la Tassa per l’Occupazione di Spazi e Aree Pubbliche, l’Icpa, cioè l’Imposta Comunale Pubblicità e Affissioni, e l’Iuc, cioè l’Imposta Unica Comunale su casa e rifiuti. La Iuc a sua volta include la Tasi, cioè la Tassa sui Servizi Indivisibili, l’Imu, cioè l’Imposta Municipale (quella che un tempo era chiamata Ici, cioè Imposta Comunale Immobili) e la Tari, cioè la Tassa sui Rifiuti (quella che un tempo era chiamata Tarsu, cioè Tassa Smaltimento Rifiuti Solidi Urbani, e ancora prima Tares, cioè Tassa Rifiuti e Servizi).

I tributi locali sono prestazioni coattive a livello del patrimonio dei contribuenti, i quali sono tenuti a versare agli enti locali una parte dei propri beni.
Fatto questo doveroso chiarimento e tornando alla casistica di richieste di pagamento relative ad anni addietro, è doveroso rappresentare come i crediti relativi alle entrate provenienti da tributi locali sono soggetti a una prescrizione pari a cinque anni, tempistica dimezzata rispetto ai dieci anni che occorrono in caso di tributi erariali (ossia dello Stato).

Lo ha ribadito la commissione tributaria regionale di Roma, con la sentenza 47/2017 e la
Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 30362/2018, sottolineando come gli importi dovuti per i tributi locali riguardino prestazioni periodiche e pertanto devono rientrare nell’applicazione della norma civilistica che prevede una prescrizione quinquennale tenendo conto della notifica della cartella di pagamento, o della stessa ingiunzione.

Il principio preso come riferimento è l’articolo 2948 del Codice Civile, secondo cui il termine per recuperare il credito è limitato a 5 anni per i pagamenti versati annualmente o a cadenza più breve, quindi rientrano in questa normativa tutte le entrate locali versate periodicamente.

La prescrizione quinquennale è giustificata, infatti, da un ragionevole principio di equità, che vuole che il contribuente venga sottratto all’ obbligo di corrispondere quanto dovrebbe per prestazioni già scadute tutte le volte che queste non siano state tempestivamente richieste del creditore. Nel solco delle considerazioni che precedono si era già inserita la Cassazione civile a Sezioni Unite con la Sentenza n. 23397/2016 la quale ha ampliato l’ambito di applicazione della prescrizione breve. Il nuovo orientamento ha esteso i margini difensivi del cittadino, il quale potrà chiedere al giudice l’estinzione del credito per
intervenuta prescrizione breve, non soltanto nei casi di notifica di cartella esattiva (dpr n. 600 del 1973, art. 36 bis e/o ter), bensì anche nelle fattispecie riguardanti qualsiasi atto amministrativo di natura accertativa (avvisi di accertamento, avvisi di addebito ecc.).

Un’altra questione che spesso ci viene sottoposta concerne se e quanto si paga la TARI, uno dei tributi più onerosi ed allo stesso tempo odiosi per il cittadino. Ebbene, il Ministero delle Finanze, occupandosi del caso, nel 2018, ha chiarito come la tassa in questione non è dovuta se l’immobile non è allacciato alle forniture o non è ammobiliato.

In pratica, nel caso in cui un immobile sia chiuso, privo di arredi e senza utenze allacciate (acqua, gas, elettricità), la TARI non è dovuta perché l’immobile risulta in obiettive condizioni di non utilizzabilità. La presenza di arredo, specifica il ministero, oppure l’attivazione anche di uno solo dei pubblici servizi di erogazione idrica, elettrica, calore, gas, telefonica o informatica costituiscono presunzione semplice dell’occupazione o conduzione dell’immobile e della conseguente attitudine alla produzione di rifiuti, mentre l’applicazione della tassa deve ritenersi esclusa per gli immobili inutilizzati nell’ipotesi in cui gli stessi siano privi di arredi e di allacciamento ai servizi di rete.

Per quanto riguarda le pertinenze, si sottolinea il criterio diverso rispetto a quello valido per l’IMU, che è più restrittivo: ai fini TARI; non c’è un tetto al numero di pertinenze di una singola unità immobiliare.
Ad Esempio: un contribuente possiede diversi garage, tutti pertinenze di un’abitazione.

Ebbene, ai fini TARI, sono tutte pertinenze dell’abitazione. Infine, box, cantine e garage vanno in genere ricondotti nell’ambito delle utenze domestiche, a meno che non siano detenuti da un titolare di utenza non domestica.

Dott.sa Martina Taurone