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a cura della Dott.sa Martina Taurone dello Studio Legale Pasquazi & Partners – Roma-Cave-Tivoli

Da circa un anno nel linguaggio comune è subentrato un nuovo acronimo: “DPCM”, ovverosia Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Tale atto è stato utilizzato, a partire dal marzo 2020, per le cosiddette misure di contenimento del COVID19 le quali, incidendo soprattutto sulla libertà di movimento, ma anche su quella di culto e di manifestazione sono state oggetto di aspri dibattiti, sia tra gli operatori del diritto, sia tra i politici e sia
tra la gente comune.

Ha fatto recentemente scalpore una Ordinanza del Tribunale di Roma, del 16 dicembre 2020, con la quale il Giudice Dott. Alessio Liberati ha dichiarato che i DPCM che sono stati emessi dall’inizio della pandemia presentano gravi profili di illegittimità, tali da imporne la disapplicazione.

Il Magistrato romano si è soffermato sulla inidoneità di un DPCM – che è un atto amministrativo – a comprimere le libertà fondamentali dei cittadini. A tal proposito egli, ritenendo che l’atto in esame non possa comprimere i diritti fondamentali dei cittadini, ha osservato come insigni giuristi, tra i quali i presidenti emeriti della Corte costituzionale Baldassarre, Marini e Cassese, “hanno rilevato la incostituzionalità del DPCM” e ciò perché esso, non avendo forza di legge, non può porre limiti a libertà costituzionalmente garantite.

Ripercorrendo la posizione autorevolmente espressa dai citati giuristi il giudice romano ha dichiarato come nella Costituzione è prevista una sola ipotesi di attribuzione al Governo di poteri normativi tipici: quella relativa alla dichiarazione dello stato di guerra (art. 78 e 87 Cost.), mentre non vi è alcun riferimento alla dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario.

Ne consegue che la dichiarazione del Consiglio dei ministri del 31/01/2020, che è stata posta alla base di tutti i successivi DPCM, è stata emanata in assenza dei presupposti legislativi, ed è quindi illegittima, in
quanto nessuna fonte costituzionale o di legge ordinaria attribuisce al Con- siglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario. Da ciò deriva, altresì, l’illegittimità di tutti gli atti amministrativi conseguenti.

Il giudice capitolino rileva inoltre “un ricorrente difetto di motivazione” di tutti i DPCM che, come stabilisce l’art. 3 della legge 241/1990, in quanto atti amministrativi devono essere adeguatamente motivati; e invece nel corpo dei provvedimenti relativi alla emergenza epidemiologica la moti- vazione è “redatta in massima parte con la tecnica della motivazione per relationem, con rinvio ad altri atti amministrativi e, in particolare (ma non solo), ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico (CTS)”. I verbali del CTS, peraltro, in massima parte non sono disponibili né conoscibili, e ciò rende di fatto impossibile o estremamente difficoltoso il riscontro per relationem.

In un primo momento tali verbali erano classificati come “riservati”, e solo successivamente sono stati pubblicati, ma con un ritardo tale da non con- sentire l’attivazione della tutela giurisdizionale.

La motivazione è inoltre indispensabile per consentire il sindacato sul c.d. eccesso di potere. “Sul punto talvolta non è emerso neanche, dal combina- to disposto dei DPCM e verbali del CTS, un adeguato bilanciamento degli interessi costituzionali in gioco, che fosse cioè basato su una istruttoria completa e su una chiara e univoca presa d’atto della situazione di fatto”.

Tale difetto è stato rilevato dal Tar Lazio con riferimento al DPCM del no- vembre 2020: “dal DPCM impugnato non emergono elementi tali da far ri- tenere che l’amministrazione abbia effettuato un opportuno bilanciamento tra il diritto fondamentale alla salute della collettività e tutti gli altri diritti inviolabili” (Tar Lazio, ordinanza n. 7468/2020). Dalla lettura di quei verbali che sono stati pubblicati, “non emerge”, rispetto alle misure meno incisive prese da altri Paesi, “con chiarezza quale sia la logica della scelta fortemente compressiva operata dalla PA (…) e l’opzione dell’amministrazione non appare univocamente determinata dalla situazione di fatto sottostante e, talvolta addirittura contraddittoria, con ciò determinando ulteriori possibili vizi di eccesso di potere per illogicità”.

Concludendo, potrà condividersi o meno la motivazione dell’ordinanza del Tribunale di Roma, ma sicuramente il problema giuridico e costituzionale esiste e va affrontato poiché le modalità scelte per compromettere libertà costituzionali merita una approfondita riflessione, anche per il futuro, onde
evitare che una misura che oggi viene adottata quel come provvisoria ed eccezionale, si trasformino strumento definitivo e ordinario.

Dott.sa Martina Taurone