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“Ho sempre pensato che mio padre avesse un’altra vita, perché da qualche parte, anche se sei la persona più triste del mondo, l’idea di felicità, fosse solo per un attimo, deve pur incuriosirti.”

Situato in una conca tra due montagne, Bagnamurata è un microcosmo in cui le stagioni non sembrano passare. Quando il vento è forte si respira la polvere del paese vecchio venuto giù con la frana, per tutti sono i morti che fanno visita ai vivi.

Biagio viene cresciuto dal padre, Bruno, un uomo di una “bruttezza spaventosa”, soprannominato “il macellaio” per via del suo mestiere. Di sua madre, invece, non ha ricordi, perché un incidente gliel’ha portata via senza lasciargli il tempo di imprimerne i lineamenti nella memoria. Presa la decisione di abbandonare la scuola, Biagio trascorre le giornate nel retrobottega della macelleria a tirar pugni alle carcasse degli animali, nutrendosi di sguardi morti, di silenzi e odori pungenti. Senza una guida o un sostegno non ha gli strumenti per riconoscere la bellezza e quando finalmente la incontra non trova il coraggio di inseguirla. La copertina di un libro, la vista del mare, l’incontro con Alceo: smascherano una sensibilità soffocata da sentimenti confusi e da un patrimonio emotivo dissipato senza gioia.
In questo clima di trascuratezza emotiva e materiale, i protagonisti sono abitati dal silenzio, tutti complici nel ferirsi a vicenda.

Alcune storie non hanno bisogno di coordinate spazio-temporali perché raccontano un modo di stare al mondo governato dalla rassegnazione e dalle mancanze. Queste ultime sono il motore narrativo del “Macello” esistenziale di Biagio: il padre scompare, la madre viene a mancare, il paese svanisce, l’amore si dilegua. E ogni esistenza sembra confermarsi attraverso la sua negazione: ne è un esempio Bruno, che diventa presente dopo la sua sparizione, o la felicità, che viene nominata solo quando la si nega.

Fiorino racconta un mondo in cui non c’è spazio per essere adolescenti. I pensieri e le azioni si sovrappongono in modo confuso e contraddittorio. L’autore fa con la scrittura quello che Bruno fa con le carcasse degli animali: scarnifica, taglia e mostra il lato più brutto della vita. Il linguaggio e la storia resistono all’impulso storico e geografico che potrebbero far sembrare distanti situazioni e personaggi.