lockdown
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a cura della Dott.sa Martina Taurone dello Studio Legale Pasquazi & Partners – Roma-Cave-Tivoli

A detta del GIP presso il Tribunale di Reggio Emilia no!
Con la oramai famosa sentenza n. 54/2021 del 27 gennaio 2021 il giudice emiliano ha assolto una coppia uscita di casa durante il lockdown perché, secondo la sua decisione, il Dpcm che vieta gli spostamenti è illegittimo per contrasto con la Costituzione.
Ripercorriamo i fatti.

Un uomo ed una donna uscivano in zona rossa e compilavano una autocertificazione attestando il falso, ovverosia che avrebbero dovuto recarsi con urgenza in Ospedale quando invece non era vero. Fermati dagli Organi di Polizia agli stessi veniva contestato il reato di cui all’art. 480 cp, ovverosia “falso ideologico”, il quale prevede che “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni”.
Come sappiamo nei mesi scorsi una incessante campagna di informazione ha continuamente martellato i cittadini paventando gravi conseguenze penali, financo il carcere, per chi non fosse uscito di casa senza una motivazione ammessa dal DPCM.

Ebbene, la coppia di amici, a seguito di processo cui venivano chiamati dalla Procura della Repubblica, sono stati assolti nonostante la falsa autocertificazione con la motivazione che «il fatto non costituisce reato».
Apparentemente sembrerebbe una contraddizione: perché mandare assolti gli imputati quando era chiaro che avessero dichiarato il falso? La risposta la fornisce in modo molto logico e lineare il Giudice penale nella motivazione della sentenza rilevando l’illegittimità sia del primo DPCM (quello dell’8.3.2020) che di tutti quelli successivi poiché comportanti una restrizione della libertà personale preclusa all’autorità amministrativa.
Più specificatamente il magistrato ha osservato come i citati DPCM, stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configurino un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare che può essere adottato solo dal giudice penale.

Viene evidenziato a tal proposito come la Corte Costituzionale abbia in passato ritenuto configurante una restrizione della libertà personale delle situazioni ben più lievi dell’obbligo di permanenza domiciliare come, ad esempio, il “prelievo ematico” (Sentenza n. 238 del 1996) ovvero l’obbligo di presentazione presso l’Autorità di PG in concomitanza con lo svolgimento delle manifestazioni sportive, in caso di applicazione del DASPO, tanto da richiedere una convalida del Giudice in termini ristrettissimi.

Infatti, l’art. 13 Cost. stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su «…atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge».
Dal principio costituzionale sopra richiamato discendono due conseguenze che non ammettono deroghe ed eccezioni:
1) il DPCM non può disporre alcuna limitazione della libertà personale poiché non è un atto normativo avente forza di legge
2) che quand’anche una legge prevedesse la possibilità di limitare la libertà personale essa non potrebbe essere diretta ad una generalità di cittadini, bensì sempre in relazione ad un singolo soggetto e sempre in base ad un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria.

Il Giudice emiliano quindi provvedeva a “disapplicare” il DPCM in quanto atto meramente amministrativo, senza la necessità di porre una questione di legittimità costituzionale. La disapplicazione del DPCM in quanto contrario all’art. 13 della Costituzione travolge anche la falsa dichiarazione degli imputati dichiarata dal GIP “FALSO INUTILE”. Infatti, concludeva il magistrato, poiché “è costituzionalmente illegittima, e va dunque disapplicata, la norma giuridica contenuta nel DPCM che imponeva la compilazione e sottoscrizione della autocertificazione, il falso ideologico contenuto in tale atto è, necessariamente, innocuo; dunque, la richiesta di decreto penale non può trovare accoglimento. Alla luce di tutto quanto sin qui detto, deve pronunciarsi sentenza di proscioglimento, nei confronti di ciascun imputato, perché il fatto non costituisce reato”.

La decisione ha fatto molto scalpore e un certo numero di tribunali ha iniziato a seguire questo solco giurisprudenziale le cui motivazioni sono difficilmente contestabili dai fautori della teoria opposta.

Dott.sa Martina Taurone